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Il percorso Breaters è stato concepito per soddisfare le differenti esigenze e necessità dei nostri utenti, potrai scegliere in autonomia quanto a lungo stare in Breaters e potrai interrompere l'abbonamento in qualsiasi momento.

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Visto che andiamo a lavorare su dinamiche consolidate solitamente i nostri utenti rimangono con noi per almeno 6 mesi, ma non c'è alcun vincolo al riguardo.

Inoltre la bella notizia è che in questi anni abbiamo creato un percorso che va sempre più in profondità e che, se lo desidererai o se ne avrai bisogno, potrai rimanere con noi molto più a lungo.
 

No.
Il percorso Breaters è un percorso di consapevolezza emotiva nella relazione con il cibo, il peso e con se stessə, non un metodo di dimagrimento.

Noi ci occupiamo di aiutare le persone ad essere in grado di auto regolarsi con il cibo attraverso l’uso delle tecniche della mindfulness (consapevolezza profonda).

Nell'abbonamento Premium sono inclusi 2 webinar mensili con una nutrizionista allo scopo di orientare gli utenti e fornire loro gli strumenti fondamentali per prendersi cura di se stessə dal punto di vista nutrizionale.

Durante i webinar di Delia Ravetti sarà possibile porre qualsiasi domanda e suggerire proprie tematiche di interesse specifico per gli incontri successivi.

Il tempo di “apprendimento” è soggettivo. Le nostre abitudini alimentari, funzionali o meno, specie quelle connesse ai nostri stati emotivi, sono il frutto di una lenta assimilazione.

Gli studi scientifici dicono che per poter cominciare ad incidere su un’abitudine radicata (che è un collegamento facilitato delle sinapsi del nostro cervello) è necessario un ciclo di controtendenza che va dai 28 ai 66 giorni.

Naturalmente questo genere di applicazione deve essere costante e mantenuta nel tempo.

Molto dipenderà, quindi, da quando la persona inizierà effettivamente a modificare in modo concreto ad agire sulla propria abitudine acquisita (per esempio a smettere di mangiare per placare l’ansia).

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In generale, per fame emotiva si intende quel genere di “fame” che non coincide col reale bisogno di cibo per nutrirci, ma che si attiva in concomitanza di stati d’animo quali la noia, il disagio, il senso di vuoto, la paura e tutte quelle manifestazioni emotive, appunto, che di norma non avrebbero a che vedere con l’appetito, ma che siamo solitə "attutire" o tenere sotto controllo grazie al piacere di quei cibi che assumono una funzione confortante o consolatoria.

Molto connesso al concetto di “fame emotiva” è anche il disagio che si prova nei confronti della propria incapacità (vera o presunta) di gestire il ricorso proprio a quei cibi che hanno assunto questa funzione, generando così quel circolo vizioso che ben conosce chi si sente sempre in lotta con il peso, con il desiderio di cibo, con l’immagine di sé che raramente è in accordo con quella desiderata o immaginata e con il disagio di sentirsi costantemente fuori controllo.

Nella maggior parte dei casi (98%) le diete restrittive falliscono perché sono vissute come una deprivazione forzata dalla quale non vediamo l’ora di liberarci per tornare alle nostre abitudini.
È un grosso equivoco: perché sono state proprio le nostre abitudini protratte nel tempo (a meno di rare problematiche endocrinologiche) a farci accumulare peso in eccesso.

Nella nostra visione, molto più di una dieta imposta dall'esterno può essere efficace un riordino guidato della propria alimentazione.
Con una notazione particolare, e cioè che questo riordino sia costruito insieme ad una figura di riferimento con la partecipazione attiva della persona interessata.
In altre parole assumendosi in prima persona la responsabilità del cambiamento.

Gli effetti di una alimentazione equilibrata mantenuta nel quotidiano sono infatti migliori e più duraturi di quelli che si ottengono con un periodo di limitazione forzosa che non coinvolge la modifica delle abitudini, degli atteggiamenti e degli automatismi che sono stati la causa del problema.

Come dimostrano numerosissimi studi scientifici nel campo delle neuroscienze, la meditazione è in grado di agire in modo benefico su quell’area del cervello in cui sono elaborate le risposte allo stress.

Nel caso dell’alimentazione emotiva e della fame nervosa, quindi, certamente la meditazione può dimostrarsi efficace.
Non tanto sullo stimolo in sé, quanto piuttosto su ciò che genera l’impulso di rivolgersi al cibo per avere conforto, pacificazione, un “luogo sicuro” e conosciuto in cui rifugiarsi rispetto a situazioni o emozioni percepite come stressanti o difficili da sostenere.
Compreso il disappunto che all’inizio di un riordino alimentare si accompagna, di solito, ad una ribellione nei confronti di ciò che tendiamo a percepire come una restrizione.

Possiamo dire che la meditazione può aiutarci ad attenuare e ad integrare ciò che innesca la fame emotiva, dandoci quindi modo di imparare a disattivarla anziché cercare di controllarla e di combatterla, il che abitualmente produce scarsi risultati.